XXV° FESTA DI SAN BONIFACIO

19 maggio 2023

Scansione

Sabato 3 giugno alle ore 20,45

Presso la chiesa di Sant’Abbondio a Motta di S. Bonifacio

presentazione del volume:

LA CHIESA DI SANT’ABBONDIO

a Motta di San Bonifacio

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ESCURSIONE DI PRIMAVERA

21 marzo 2023

Programma dell’escursione a Fratta Polesine e Rovigo

di sabato 15 aprile 2023

 

 

Partenza in pullman dal parcheggio Mazzini (via Mazzini a San Bonifacio)                      ore   8.30

Arrivo a Fratta Polesine                                                                                                                         ore  10.00

Visita guidata di Villa Badoer detta La Badoèra, villa veneta  progettata dall’architetto

Andrea Palladio nel 15541555 circa e costruita negli anni 15561563 su commissione di

Francesco Badoèr. L’edificio è inserito dal 1996 nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO

successiva passeggiata per Fratta, a vedere l’esterno di altre ville, tra cui quella “dei Carbonari”,

 il monumento ai “Carbonari” ecc.

Partenza per Rovigo                                                                                                                              ore  12.00

Arrivo a Rovigo                                                                                                                                        ore  12,30

Tempo libero per la colazione individuale a Rovigo

 

 

Passeggiata per il centro di Rovigo e visita guidata del Tempio della Rotonda            ore  14,30

La chiesa della Beata Vergine del Soccorso, detta La Rotonda, è un edificio religioso

peculiare per la sua forma architettonica a pianta ottagonale e per gli eventi

storico-religiosi legati all’evoluzione socioculturale della città.

 

 

Eventuale tempo libero

 

 

Partenza da Rovigo per Montecchia di Crosara                                                                             ore  18,00

Arrivo a Montecchia al ristorante “Tregnago” per la cena sociale                                         ore  19,30

Partenza per San Bonifacio                                                                                                                  ore  21.30

Rientro a San Bonifacio                                                                                                                         ore  22.00

____________________________

Quote di partecipazione:  soci A.R.D.S. € 55.00, non soci € 60.00

Prenotazioni, fino a esaurimento dei posti, presso:

Orianna Rossin 340/6471631  e Mina Pace 045/7610434

NB:           La prenotazione comporta il versamento di  € 25 a copertura delle spese vive

(pullman,  guide, ecc.).

Per questa ragione la caparra, in caso di rinuncia, non potrà essere restituita.

VERONA, 170° Anniversario dei Martiri di Belfiore

15 marzo 2023

A4

CONVEGNO A SANTISSIMA TRINITA’

26 febbraio 2023

Nei giorni 24 e 25 marzo 2023, si terrà presso il teatro della Santissima Trinità, via Santissima Trinità 8 a Verona, un importantissimo Convegno di Studi dal titolo:

LA SANTISSIMA TRINITA’

IN MONTE OLIVETO 

Un monastero Vallombrosiano alle porte di Verona

LOCANDINA_SS. Trinità Verona copia

 

25° FESTA DI SAN BONIFACIO

Sabato 3 giugno 2023 si terrà la 25° edizione della Festa di San Bonifacio.

Come di consueto la manifestazione si terrà presso la chiesa di Sant’Abbondio a “Motta” 

Dal lontano 1998 è tradizione ormai consolidata che il sabato più prossimo al 5 di giugno, giorno onomastico del patrono civile della nostra cittadina, si festeggi il Santo con un incontro  culturale curato dall’A.R.D.S.

Durante la serata, aperta a tutta la cittadinanza, l’Associazione come ogni anno, presenterà un lavoro inedito relativo al nostro territorio, frutto dello studio e del lavoro degli appassionati che compongono il nostro sodalizio.

L’argomento al momento è TOP SECRET, e verrà rivelato solo in prossimità della Festa!

 

 

 

 

Il Castello di S. Bonifacio | The Castle of St. Bonifacio

22 novembre 2021

1 – FONDAZIONE FULDENSE DEL MONASTERO DI SAN BONIFACIO

Il primo documento che cita il castello di San Bonifacio è il famoso testamento di Milone del 955.  Prima di questo abbiamo altri documenti.  In un passo del “Miracula sanctorum in Fuldenses ecclesias translatorum”, si legge che tra coloro che donarono in Italia un “praedium” (bene immobile) al monastero di San Bonifacio in Fulda vi fu il conte Hadumar (Ademario conte di Verona tra l’806 e l’809). Intorno all’830, su questo lascito, amministrato da un monaco di nome Addo, fu costruito un monastero dipendente da Fulda. Viene anche disposto che in questo luogo rimangano degli addetti (monaci) per gli uffici ordinari.   Nel manoscritto n. 141 della biblioteca di stato di Bamberga, esiste la notizia che nell’ 875 nel “..praedio Fuldensis monasterii, quod Monticellum dicitur, iuxta Veronam..” fu tumulato un certo Haganus, importante monaco fuldense, morto nei pressi di Verona. Ora, abbiamo ragione di ritenere che il “Monticellum” di cui si parla in questo documento, altro non sia che la nostra Motta. Infatti chiese dedicate a S. Bonifacio non ne esistono altre nella provincia, un santo oltre tutto inusuale nelle nostre zone. Il nome stesso del paese è unico in Italia. Ma c’è di più, all’epoca considerata, il monastero tedesco di Fulda possedeva diverse pertinenze, frutto di lasciti, in Italia e in particolare in Veneto. Nel testamento di Milone, riportato da F. Ughelli ad un certo punto troviamo: “…atque capella mihi constructa in honore S. Bonifacij…”. Invece nel documento riportato da V. Fainelli quel “mihi constructa”, diventa “inibi constructa”, che nell’economia del discorso assume tutto un altro significato, cioè quello di essere stata già presente e non costruita da Milone.

2- Il CASTELLO DI MILONE DEL 955

Il conte Milone, che già gestiva i beni della corte di Zerpa di proprietà del fratello Manfredo, corte, estesa probabilmente fino all’Alpone, decise di fortificare l’altura della “Motta”, che per la sua posizione tra il comitato vicentino e quello veronese, protetta a Sud e Ovest da ampie zone paludose, lambita dall’Alpone e a poca distanza dalla strada Postumia, doveva apparire come un sito ideale per un impianto castrense. Quasi tutti i “castra” all’epoca si insediarono in aree già abitate, per proteggerle, ma anche per sfruttarne le potenzialità produttive.  Il testamento, ad un certo punto dice: “Nec non et alio castro meo cum casa solariata cum sala et caminata atque labia vel uel subtessorar (sic) atque cappella inibi constructa in honore Sancti Bonifatii et foras inibi circuito casis terris pratis silvis cum omnia sicut ibidem habere visus sum et mihi legibus per(ti)net”. Come si può notare Milone si dilunga a sottolineare le caratteristiche abitative della struttura, facendo trasparire anche una certa soddisfazione nell’indicare questa dimora su più piani, con sala e camino, loggiato e annessi rustici. Il nome Motta della località, deriva dalla tipologia di castello molto diffusa nel Nord Europa, che comprendeva una casa d’abitazione fortificata, costruita sul punto più alto di un’altura, ed una “bassa corte”, zona in cui si trovavano le abitazioni e gli annessi necessari per le attività agricole.  Il nucleo abitato (in parte lo stesso esistente prima dell’incastellamento), doveva distribuirsi concentricamente in quella terrazzatura, ancora ben visibile, intorno al palazzo signorile (da individuare nell’area ora occupata dal monumento ai caduti).  All’esterno della cerchia, un’alta scarpata finiva nel fossato che seguiva l’attuale anello stradale.  Dato che si presume che l’Alpone scorresse ad Ovest della Motta, fu per realizzare una protezione efficace nel punto più delicato, cioè a Nord, che il fiume venne deviato nell’attuale alveo. Da allora questo nuovo corso fu continuamente mantenuto efficiente e tale è stato conservato fino ad oggi.

3– IL CASTELLO, RESIDENZA DEI SAN BONIFACIO (X – XI secolo)

Sembra che, almeno inizialmente, il castello avesse carattere più propriamente residenziale. La sua ubicazione possedeva una serie vantaggi: prima di tutto si trovava in territorio di confine. La Motta era posta in comitato vicentino visto che allora l’Alpone ne rappresentava il confine, fu infatti, solo dopo la pace di Fontaniva del 1147, che i confini tra i due comitati furono modificati, mentre le diocesi rimasero invariate. Se tuttavia il corso dell’Alpone costituiva il confine tra i due comitati, non si capirebbe perché la Motta fosse considerata in territorio vicentino. Evidentemente il corso dell’Alpone di allora doveva transitare a ovest della Motta in un’area, che ancora oggi, si trova ad un livello più basso.  È chiaro che il corso attuale deve essere di natura artificiale e che la diversione avvenne nei secoli in cui funzionò il castello, ciò allo scopo di creare una ulteriore difesa all’impianto castrense, costituendo il classico fossato che circondava il castello. Di tale fossato, venuta meno la funzione difensiva, si mantenne solo la parte orientale. La dislocazione poi, presso un confine e una strada di grande importanza come la Postumia, poteva offrire la possibilità di controllo sulle comunicazioni.  Ma alla scelta della Motta seguì un altro fatto fondamentale, sia per i discendenti di Milone, che per il borgo che si stava formando. Adalberto, re d’Italia (poco prima di essere destituito dall’imperatore Ottone I°) donò tra il 960 e il 961 a Egelrico I° (nipote di Milone e a lui succeduto come conte di Verona) e ai suoi eredi, la cosiddetta “terra mortuorum”.  Si tratta del diritto di succedere, al posto del fisco, nelle terre e nei beni di persone morte senza eredi, in una vasta zona, nel comitato veronese, attorno a San Bonifacio. Questa area rappresentava la parte nord – orientale del comitato veronese delimitata a nord dalla Valpantena fino alla Val d’Alpone, a sud dal corso dell’Adige fino all’Alpone. Probabilmente a causa dei massacri degli ungari, “la terra mortuorum” doveva essere assai estesa e la possibilità di appropriarsene poteva costituire un ulteriore elemento di interesse per la localizzazione dell’insediamento castrense che non doveva essere sfuggito a Milone. Solo i suoi discendenti riuscirono a ufficializzare il possesso di quei beni (che forse già Milone utilizzava) con un placito.  Tali possedimenti, assieme a quelli già detenuti da Egelrico I°, che oltre all’eredità di Milone possedeva anche i beni avuti dal padre Manfredo III° (come la Zerpa), data la notevole estensione, resero il territorio gravitante sul castello di San Bonifacio una sorta di giurisdizione indipendente, all’interno del comitato veronese.  Infatti, dopo qualche tempo, proprio da quei beni fondiari deriverà ai signori del castello il nome e il titolo di conti di San Bonifacio.

4– LA LOTTA TRA LE FAZIONI NEL XIII secolo

Nella prima metà del 1200 il nostro castello svolse un ruolo spesso di primo piano nelle cruente vicende dell’epoca. Nell’ultima parte del XII° secolo, i San Bonifacio sostennero la carica di podestà di Verona. Evidentemente la loro influenza era favorita dalla loro capacità economica, dalla tradizione della funzione comitale e dai rapporti di parentela e di amicizia con le principali famiglie. Nel 1205 si registrarono violenti scontri in città e nel territorio di San Bonifacio che venne devastato presumibilmente dai “Monticoli”; in questa occasione fu assediato anche il castello.  Nel maggio del 1206 Azzo d’Este (della fazione dei “Conti”) fu proclamato podestà di Verona, ma nel 1207 fu dapprima espulso (nel mese di giugno dai “Monticoli” aiutati da Ezzelino il Monaco) e quindi (settembre) reintegrato nella sua funzione dopo aspra battaglia, mentre i “Monticoli” prendevano per sei anni la via dell’esilio. Estensi e San Bonifacio parteggiavano in quegli anni per il futuro imperatore Federico II° contro quello attuale Ottone IV°, ma il loro partito subì un disastro nel 1212 con una dura sconfitta militare presso Lonigo e con la contemporanea scomparsa dei loro due massimi capi: Azzo d’Este e Bonifacio V°.  Nel 1230 i “Monticoli” con Ezzelino occuparono Verona, cacciarono gli avversari elessero un loro podestà e si dichiararono filo-imperiali. Gli esuli si ritirarono nel munito castello di San Bonifacio dove elessero il proprio podestà e da dove chiesero aiuto ai Rettori lombardi. Fu grazie all’intervento di questi che i prigionieri furono rilasciati e la pace fu siglata nel castello di San Bonifacio il 6 luglio del 1231. Ma la pace fu di breve durata, l’anno successivo Ezzelino con un colpo di mano, si fece anche mandare un aiuto in truppe (invero modesto) da Federico II° e tenne Verona. L’avvicinamento tra Ezzelino e Federico II° diventava sempre più stretto, infatti mentre al primo conveniva parteggiare per l’Imperatore perché, dentro di sé, mirava a diventarne una specie plenipotenziario per la Marca (con mire di espansione della stessa), Federico II° pensava di usare Ezzelino contro il suo vero obbiettivo che erano i Comuni Lombardi, tuttavia egli voleva anche mantenere buoni rapporti con gli altri Signori ipotizzando una pacificazione del territorio veneto. Nel 1233 un fatto di una certa importanza coinvolse i vari contendenti. Frà Giovanni da Schio riuscì ad organizzare un grande convegno di pace a Paquara al quale parteciparono circa 400.000 uomini di tutte le città vicine, con i loro Carrocci e in cui i capi si giurarono pace; tra le altre cose si determinò che il conte Rizzardo di S. Bonifacio e il suo partito, potessero rientrare liberamente in Verona, da dove erano stati espulsi.  La pace durò poco, l’anno successivo (1234) vi furono nuovi tumulti con il conseguente nuovo esilio di Rizzardo, seguirono ampie devastazioni e una nuova riappacificazione (1235) con il San Bonifacio riammesso in città per i buoni uffici di alcuni legati pontifici complice un accordo tra Federico II° ed il papa. Con l’inizio del 1236 Rizzardo fu nuovamente cacciato da Verona, ma nello stesso anno finalmente l’imperatore Federico II° scese a Verona rifornendo adeguatamente Ezzelino di uomini e di mezzi. Ora Ezzelino aveva le forze per assoggettare la Marca, ma anche per levarsi l’impiccio del castello di San Bonifacio. Come vedremo l’assedio del 1237 non andò a buon fine per il da Romano a causa della volontà dell’imperatore di mantenersi ancora la fedeltà dei San Bonifacio, degli Este e delle altre famiglie importanti della Marca.  Tuttavia la scomunica lanciata da papa Gregorio IX contro l’imperatore fece precipitare le cose, infatti il Rolandino racconta che nei primi giorni di giugno del 1239, l’imperatore con un seguito formato dal marchese Azzo VII d’Este, Ezzelino III, Rizzardo e gli altri grandi della marca, una cinquantina circa di persone, si stava spostando a cavallo dal trevigiano verso la Lombardia, “.. giunto ai confini di San Bonifacio, uno dei familiari di Federico, posta la destra al proprio collo e guardando verso il marchese, fece il segno del taglio della testa; infatti amava il marchese e la sua parte..”. Dato il pericolo, il marchese informato Rizzardo e i suoi amici, entrò con essi nel castello di San Bonifacio e qui rimase. “..L’imperatore mandò Pier della Vigna a richiamare il marchese e i suoi, dicendo che dava assicurazione al marchese a al conte e a tutti i loro amici e aggiungendo che voleva rappacificare il conte e tutti quelli della sua parte con quelli della parte avversa e porre il conte e i suoi in Verona..”. Ricevutone un diniego, Federico prese in ostaggio alcuni della parte del conte e Rinaldo, figlio del marchese d’Este, i quali si erano attardati e non avevano raggiunto gli altri al sicuro nel castello, fece anche per sicurezza presidiare il passaggio per la Germania alla Chiusa di Rivoli, dimostrando così l’avvenuto strappo con i dissidenti. Il 13 giugno 1239 ordinò a Pier della Vigna, il cancelliere imperiale, di proclamare, in piazza davanti a S. Zeno il bando dell’impero contro Rizzardo di San Bonifacio, Azzo VII° d’Este e le altre principali famiglie Guelfe della Marca e di Ferrara. Era la guerra totale, il bando che colpiva i nemici dell’impero poteva essere tradotto nella possibilità di distruggerli fisicamente oltre alla confisca dei beni che questi possedevano. Ezzelino intanto imperversava; nel 1242 prese i castelli di Montecchio Maggiore, Montagnana, Bolca, Vestena, Villimpenta, nel 1243 dopo aver preso Arcole fu finalmente la volta del castello di San Bonifacio. Di quest’ultimo atto, ciò che è interessante qui sottolineare è la precisa volontà di Ezzelino di annientare questo castello, impresa già tentata e non riuscita in altre occasioni. La sua distruzione serviva alla sicurezza di Verona da est, perché esso rappresentava la base militare da cui partivano gli attacchi dei nemici di Ezzelino verso la città ed era il luogo in cui questi si rifugiavano sicuri, dopo ogni incursione. Questo fu il clima in cui si produsse l’assedio del nostro castello; esso da residenza padronale si era trasformato in centro di signoria rurale e dopo una fase in cui servì da rappresentanza eccolo trasformato in poderoso arnese da guerra.

5– LA PRESA DI EZZELINO DEL CASTELLO DEL 1243

Eccoci dunque all’atto finale. Federico II° col bando ai vari signori locali, fra cui i San Bonifacio, dovette puntare tutte le sue carte su Ezzelino che diventò in questa fase il campione dell’impero.  Così egli ebbe finalmente la possibilità di concretizzare il progetto di eliminazione del castello di San Bonifacio, da sempre intralcio al suo dominio sulla Marca. Il 16 di settembre del 1243, quindi, con l’aiuto di vicentini e padovani, pose il campo sotto il castello di San Bonifacio e, come ci racconta il saraina, “gli diede grossi assalti da dui canti” fino alla resa.  Dopodiché “fece per i soldati uguagliar a terra” cioè radere al suolo.  Fu un evento importante vista la possente munizione difensiva cui il maniero era dotato e anche perché la caduta del castello, associata all’interdetto imperiale, significò per la famiglia dei San Bonifacio la perdita della propria sovranità nel territorio. Il rolandino nella sua Chronica, ci narra che Ezzelino con tutta la milizia Padovana, duemila fanti e anche con Veronesi e Vicentini “.. posuit se et gentem suam circa castrum Sancti Bonifacii..”; il castello era difeso da Leonisio, figlio giovinetto del conte Rizzardo (in quel momento a Mantova).  Il moscardo racconta che l’assedio era molto stretto, tanto che “..non potesse uscir’alcuno..” e che “..tutti gl’assediati sarebbero restati, o uccisi, o prigioni..”. Leonisio, che era pronto alla difesa, sapendo di non poter ricevere aiuto da suo padre bloccato a Mantova, capita l’inutilità di ogni resistenza, accettò di trattare con una delegazione di religiosi e di altre persone neutrali mandategli da suo zio che gli offriva la possibilità di salvarsi e di potersene andare con la sua gente e le proprie cose.  Leonisio accettò l’accordo e come narra ancora il Rolandino “…descendens de loco stetit sub tentorio Ecelini…” cioè scese dal castello e stette sotto la tenda di Ezzelino. Questi gli dimostrò molta familiarità e gli assegnò perfino una scorta per potersene andare sicuro. Questa vicenda evidenzia un’umanità generalmente non attribuita ad Ezzelino che viene sempre dipinto come un personaggio spietato e privo di ogni scrupolo.  Andatosene Leonisio, “…Ecelinus destrui fecit castrum Sancti Bonifacii…” cosa riportata da tutti i cronachisti posteriori a rolandino patavino, come definitiva distruzione. In realtà continuando a leggere la Chronica troviamo che Ezzelino fece “…tota destructione qua potuit…” cioè si limitò a rendere inservibile la struttura.  Infatti l’ordine di annientamento del castello di San Bonifacio assieme a quello di Arcole fu dato solo nel 1276 (cioè ben 33 anni dopo, quando Ezzelino era ormai morto da un pezzo) da Alberto della Scala che dette mandato al podestà di Verona di far lavorare mille operai per dieci giorni alla demolizione. Gli statuti Albertini contengono una serie di ordini per lavori di riorganizzazione territoriale vista per la prima volta nel suo complesso. L’abbattimento di quanto restava del castello dei San Bonifacio rientrava negli accordi di pace con Padova in cui era stabilito che le fortificazioni a sud della Postumia andavano abbattute. Rimanevano i presidi a nord il castello di Soave e quello di Illasi. Tuttavia crediamo che questa disposizione rimase inevasa, perché negli statuti del 1327 si trovano gli stessi ordini ripetuti.

Oggi di questo possente bastione non rimangono che pochi resti, che oggi forse ci svelano qualcosa. Non è chiaro chi operò la demolizione che dovette comunque avvenire perché le macerie riempirono il fossato e rialzarono il terreno avanti la chiesa di circa un metro e mezzo. La distesa di rovine fu utilizzata per secoli come cava di materiale da costruzione dai sambonifacesi e ancora oggi tutte le vecchie costruzioni del paese contengono i caratteristici blocchi di basalto che costituivano la cinta del castello. È difficile rendersi conto di quello che significava il castello di San Bonifacio, che fu per almeno tre secoli uno dei più importanti punti di riferimento della Marca, sia dal punto di vista difensivo che politico. La storia di quegli anni ruotò attorno a questo territorio, la dimostrazione di ciò sta nell’attenzione con cui i cronachisti dell’epoca ne riferirono. Con la caduta del castello si perse nei secoli il ricordo dell’importanza di quegli avvenimenti; la Motta oggi può apparire come un cucuzzolo senza storia, occorre invece rivalutare questo patrimonio attraverso la conoscenza, lo studio e la ricerca.

 

 

 

Work in progress …

Chiesetta di Sant’Abbondio | St. Abbondio’s Church

15 maggio 2021

 

 

– LA PIEVE DI SANT’ABBONDIO

 

La piccola pieve di Sant’Abbondio è la chiesa matrice della parrocchia di San Bonifacio. Sorge sulle propaggini di una modesta altura detta “Motta”, poco distante dall’attuale centro di San Bonifacio ma separata da questo dal fiume Alpone. Sulla Motta si trovava il castello del quale abbiamo la prima notizia nel testamento del conte Milone nel 955 d.C., entro il quale esisteva la cappella dedicata a San Bonifacio che poi darà il nome alla località e alla famiglia dei Conti. Si può pensare che questa cappella sia stata per lungo tempo la sede ecclesiale della prima comunità residente nel castello. Come abbiamo visto nel capitolo dedicato al castello, il sito della Motta era sul confine dei comitati di Verona e Vicenza segnato dal corso dell’Alpone. Il confine rimase tale fino al 1147 quando in seguito alla pace di Fontaniva i vicentini cedettero ai veronesi, per l’aiuto che avevano da essi ricevuto nella guerra contro i padovani, un’estesa lingua di territorio ad est comprendente le località di Costalunga, Montecchia di Crosara, Villanova, Locara, San Bonifacio, Arcole, Zimella e Cologna Veneta. Tuttavia se la frontiera politica subì una variazione, quella diocesana mantenne gli antichi limiti con l’Alpone a far da confine. Quindi, evidentemente l’Alpone non doveva passare a est del castello, altrimenti la chiesa di Sant’Abbondio, pieve della comunità, non sarebbe stata sottoposta alla diocesi di Vicenza. L’Alpone passava a ovest, anzi finiva per circondare il castello bagnando con le sue acque il vallo che lo circondava.

Quando Alberto di San Bonifacio, forse il più illustre tra gli esponenti dell’antica casata dei Conti, fece testamento il 15 febbraio 1135, lasciò tutti i suoi beni “in episcopatu Veronensi et Vicentino” all’Abbazia di Villanova e non si preoccupò in alcun modo della pieve di San Bonifacio. Evidentemente la pieve di Sant’Abbondio ancora non esisteva, ma il lascito di Alberto creerà quella disparità di trattamento che sarà motivo dell’infinita lite tra la parrocchia e l’Abbazia. Alberto e la famiglia dei Conti, non vedevano di buon occhio la nascita di una pieve alternativa alla cappella di San Bonifacio, che avrebbe dato più libertà alla comunità. La sudditanza della chiesa locale al volere dei Conti è provata da un fatto avvenuto nel 1146. L’arciprete di San Bonifacio che viene qui per la prima volta citato, aveva osato “comunicare et crucem imponere” ad alcuni malfattori colpiti dall’interdetto per delle offese arrecate alla chiesa veronese. Papa Eugenio III in persona scrive una lettera il 23 dicembre 1146 al vescovo di Vicenza per ordinargli di punire esemplarmente l’arciprete. Questi “malefactores” facevano parte delle “masnade” al soldo dei conti, all’epoca in lotta con i canonici della cattedrale per il possesso del feudo di Cerea. Essi avrebbero fatto tagliare il naso ai soldati dei canonici sul Battistero del Duomo di Verona. Per sfuggire all’interdetto lanciato loro dal vescovo Ognibene ripararono con i conti nel castello di San Bonifacio. Questo fatto ci fa capire quanto l’arciprete fosse coinvolto negli affari della famiglia comitale. Negli anni che seguono, la comunità di San Bonifacio, col suo arciprete, per liberarsi da questo giogo, cerca innanzitutto di ottenere le risorse che le spettavano dalla raccolta della Decima nel territorio di San Bonifacio. Le decime di San Bonifacio e Villanova erano per tre quarti spettanti all’Abbazia e anche questa disparità derivava dal testamento di Alberto e dalla preferenza che i Conti di San Bonifacio ebbero sempre per l’Abbazia di Villanova. Così tra l’arciprete di San Bonifacio e l’Abate di Villanova iniziò una serie di controversie sui diritti delle decime; la prima nel 1168 in cui il vescovo di Vicenza emise una sentenza a favore di Villanova alla quale seguì il ricorso dell’arciprete che determinò la Bolla di papa Alessandro III del 1169 che confermava la sentenza del vescovo. È probabilmente in questi anni che viene costruita la chiesa di Sant’Abbondio; infatti il primo documento in cui viene citata è in una annotazione del 30 agosto 1177 del notaio Giovanni, il quale, incaricato dall’abate di Villanova, Vitale, descrivendo i vari mansi in San Bonifacio e Villanova scrive: “… apud terram Sancti Abbundi …” Abbiamo memoria delle cinte murarie che proteggevano la fortificazione e il borgo, da un documento del 1208: “ … in circa S. Habundi, in platea ubi adunatur vicinia …”. Quest’ultima nota ci segnala anche la costituzione del borgo a libero comune in cui la “vicinia”, ovvero l’assemblea degli abitanti, si adunava nella piazza davanti a Sant’Abbondio che era ancora l’unica pieve. La comunità di San Bonifacio era finalmente riuscita ad avere una propria chiesa e una certa autonomia dai voleri dei Conti, anche se la dedicazione al santo lombardo, Sant’Abbondio vescovo, patrono di Como, poco noto nel veronese, può essere spiegato solo come ulteriore ingerenza dei Conti di San Bonifacio ed è da attribuire ai loro legami con la Lombardia.

L’inizio del ‘200 è un periodo burrascoso per Verona e le lotte tra le fazioni raggiungono l’apice. Nel 1207 Il castello viene assediato dai Montecchi, nemici dei San Bonifacio e la situazione per gli abitanti del borgo diventa sempre più difficile. Non a caso, proprio in questi anni avviene lo spostamento della sede parrocchiale al di là dell’Alpone, nella nuova e più grande Santa Maria (il primo documento che ne parla è del 1222), nella posizione dell’attuale Duomo e Sant’Abbondio rimase una semplice dipendenza. Il castello era in quegli anni fondamentale per la difesa dei Conti e dei loro alleati; nel 1236 il vescovo di Verona vi si rifugia e stila un atto proprio nella chiesa di Sant’Abbondio e l’anno dopo subirà un ulteriore assedio (senza successo) da parte di Ezzelino III. Il fenomeno dello spostamento del centro abitato in una zona vicina è piuttosto comune nel XIII sec.; analoghe situazioni si verificano in quegli anni anche a Soave, Monteforte ed Illasi. Questo importante risultato raggiunto dalla comunità di San Bonifacio, rende finalmente indipendente la comunità dal castello, ma non si conclude la vertenza con l’Abbazia. È proprio nel momento di massima crisi per Villanova, dopo le devastazioni perpetrate da Ezzelino da Romano sull’Abbazia, simbolo dei Conti di San Bonifacio, che nel 1266 l’arciprete di San Bonifacio, si accorda con l’allora abate di Villanova Gonterio per la divisione a metà (non più ¾ e ¼) delle decime. Tuttavia la discordia tra i due enti religiosi continuò per secoli costruendo una fonte di documenti che accompagneranno la storia delle due istituzioni fino al XVIII secolo.

La chiesa fu quindi costruita nella seconda metà del XII sec., come pieve per la comunità abitante nel castello dei conti di San Bonifacio. È a navata unica con dimensioni esterne di 16,4 metri di lunghezza e 8,9 di larghezza. Nella parete a est si inserisce l’ampia abside con diametro di 6,3 metri. Il tetto a capriate è stato ricostruito nel 1900. Rimane qualcosa nell’odierna chiesa della costruzione del XII sec.  Alcune caratteristiche della struttura muraria di Sant’Abbondio che si sono conservate sono specifiche del XII secolo ed inoltre vi sono altri indizi che ci indicano che l’attuale chiesa è in buona parte lo stesso edificio costruito allora. Non è quindi stata completamente ricostruita nel 1491-93, come riportato in numerosi testi sull’argomento. (g. mantese, c. p. bianchi, f. rossi). Un importante documento della Parrocchia, il “Libro Cronistorico”, riporta che nell’anno 1900 “si fece un radicale e totale restauro della chiesetta di S. Abbondio in Castello” “…si atterrò la vecchia facciata col piccolo tronco di campanile che sorgeva da un lato della facciata stessa,e si lasciò in piedi solo l’angolo verso nord che affermasi dell’antica costruzione; si rinnovò il tetto con nuova travatura, essendo la vecchia guasta così da presentare seri pericoli; si scavò davanti alla facciata e dal lato di tramontana e nell’interno per la profondità di circa un metro per rimettersi al pavimento antico. Da notarsi che in questo sterro non si trovò mai un’iscrizione, una moneta, un’arma, un oggetto qualunque di un qualche valore storico: si rinvennero solo molte ossa umane.”. Nello scavo era stato raggiunto il livello dell’antico cimitero che, com’era usanza, si trovava a nord della chiesa. La parte di muratura conservata nelle facciate a nord e ovest, è a corsi orizzontali di spessore irregolare di mattoni, intervallati da filari di blocchi squadrati di pietra calcarea con la fattura tipica del XII secolo, come nelle vicine chiese di Villanova, Belfiore e Scardevara. Questa policroma muratura, caratterizza le più importanti chiese di Verona, edificate in un periodo che va dal 1120 al 1200, come il Duomo, San Zeno, SS. Trinità e S. Stefano. Il lato sud della chiesa, difficilmente visibile perché affacciato sull’adiacente corte di palazzo Scudellari, è forse quello più interessante perché conservatosi com’era. Presenta una pregevole muratura a corsi paralleli di blocchi calcarei grossolanamente squadrati e tre finestrelle a doppia strombatura usuali nell’architettura romanica. Un’altra finestra dello stesso tipo è l’unica a Nord. Inoltre i grandi blocchi angolari, sono simili e sembrano provenire dalla stessa cava di quelli del campanile di Villanova (1149). Questo particolare ci permette anche di immaginare che la costruzione della chiesa di Sant’Abbondio, avvenuta evidentemente sotto la tutela dei conti di San Bonifacio, sia stata affidata da questi alle stesse maestranze attive in quegli anni a Villanova e a Belfiore. La facciata in origine doveva ripetere schemi ben collaudati di facciata a “capanna”, come in S. Stefano e SS. Trinità di Verona, con protiro pensile, bifora al posto del rosone, ed archetti rampanti. (La ricostruzione che viene proposta è ovviamente ipotetica) come è possibile vedere nella vicina chiesa di Scardevara.

L’attuale chiesa non fu ricostruita sulla preesistente cappella di San Bonifacio di cui abbiamo notizie dal testamento del conte Milone nel 955 d.C. Questa infatti doveva trovarsi all’interno della cinta più antica del castello di San Bonifacio, ossia nell’area dell’attuale parco della Rimembranza.

In quegli anni la pieve era “collegiata”, ovvero retta da un certo numero di preti che vivevano in un piccolo romitorio annesso alla chiesa, forse collegato a questa da quella porta, oggi murata, visibile sul lato sud dell’edificio. Altre considerazioni indirette ci portano a datare la chiesa prima della distruzione del castello del 1243:

– si può osservare come tutta la muratura sia in pietrame calcareo mentre quel poco che resta del castello è in pietra basaltica, probabilmente prelevata dall’alveo dell’Alpone e annegato in abbondante malta di calce. La gran quantità di pietrame disponibile dopo la distruzione del castello, costituì per molto tempo la cava per buona parte del paese. Se la chiesa fosse stata costruita dopo il 1243, si sarebbe senz’altro approfittato di materiale da costruzione così comodo, cosa che non successe perchè evidentemente la costruzione era già avvenuta.

– L’innalzamento del livello del terreno circostante la chiesa (rilevabile nella foto che la ritrae prima dei lavori del 1900), di quasi 2 metri, è spiegabile solo con lo spianamento delle macerie del castello. Di conseguenza furono chiuse nella chiesa le due porte laterali e fu rialzata la porta d’ingresso.

Dopo l’abbandono del castello da parte dei conti, nel 1243 e le probabili distruzioni subite, la chiesa perse la sua importanza ma non fu abbandonata come dimostrano i dipinti presenti che partono dalla fine del ‘300 e continuano fino al 1526. Per la sua salvaguardia fu creata, intorno al 1500, la confraternita di Sant’Abbondio che vi mantenne un cappellano fino alla fine del ‘600. Il 31 agosto di ogni anno, festa del santo, era celebrata una messa dall’arciprete con tutti i cappellani. Fino a non molti anni fa, era usanza che all’insediamento del nuovo parroco, si svolgesse una processione che partiva da Sant’Abbondio per dirigersi verso la chiesa parrocchiale (si veda il particolare della pala conservata nel Duomo). Questo per ricordare l’importanza che la piccola pieve aveva avuta nella storia di San Bonifacio.

I lavori di restauro del 1900, progettati dall’ing. Antenore Mazzotto, come raccontato nel “Libro Cronistorico” della Parrocchia, furono sospesi con decreto della Commissione regionale per la conservazione dei monumenti. Il 23 ottobre furono mandati sul posto il marchese Da Lisca ed il prof. Sgulmero, i quali visti i progetti “lodarono altamente il restauro”. Oggi invece, non possiamo lodare l’operato dell’ing. Mazzotto; ha conferito forzatamente alla chiesa un aspetto medievale eliminando aggiunte di epoche successive come le due finestre a lato dell’ingresso ed il campaniletto a vela ed aggiunto arbitrariamente nuove strutture completamente inventate come il protiro, il rosone a raggiera, il coronamento ad archetti rampanti, l’apertura nel lato nord di una porta decorata per finire col campanile. Ma questo era il modo di fare comune in quegli anni.

Il campanile fu costruito sempre su progetto dell’ing. Antenore Mazzotto tre anni dopo. I lavori cominciati il 3 marzo 1903 erano già conclusi il 27 luglio 1903. Il 20 novembre il vescovo di Vicenza, Antonio Feruglio, consacrò il nuovo altare della chiesa di Sant’Abbondio. In una recente pubblicazione sulla chiesa di Sant’Abbondio è stato scritto che il campanile attuale sarebbe stato costruito nel 1250, ma questa informazione come appena dimostrato è completamente falsa; nell’unica foto della chiesa realizzata prima dei lavori di restauro del 1900 è infatti ben visibile che in facciata c’era un semplice campanile a vela, demolito quando la facciata fu in parte ricostruita.

All’interno vi sono numerosi dipinti: alla fine del ‘300 inizio del ‘400, risalgono gli affreschi della zona absidale ed in particolare l’Annunciazione sopra l’arco trionfale. Del 1400 è un’immagine di Sant’Agata nel lato destro dell’arco trionfale. In seguito, forse in occasione di un ulteriore ripristino della chiesa avvenuto nel 1491 furono eseguiti una serie di dipinti murali, all’interno di riquadri incorniciati, in buona parte “ex voto” raffiguranti Madonne e Santi. Questa usanza, dimostra un’utilizzazione della chiesa come santuario, che si esaurisce nel 1526, data del più recente dipinto. Nel catino absidale è raffigurata la SS. Trinità con fasci di luce in un’ascesa di angeli e i quattro simboli degli Evangelisti. Nella parte bassa della zona absidale altri ex voto raffigurano una rassegna di santi tra cui: S. Lucia, S. Antonio abate, S. Agapito, S. Bovo, Madonna col bambino, S. Francesco, S. Caterina, S. Bartolomeo, datati 1491. Nel volume dedicato al restauro della chiesa di Santa Maria dei Domenicani di Soave, A. Malavolta attribuisce i dipinti di Sant’Abbondio allo stesso ignoto pittore detto “Maestro di S. Lazzaro”, autore dell’importante ciclo di dipinti di Soave dedicati al santo, datati tra il 1450 ed il 1480. Ma nell’abside sopra la Madonna col Bambino di Sant’Abbondio, si legge la scritta “hoc opus pinsit Petrus Marini”. Questa iscrizione era già stata vista dal simeoni nel 1909, individuando in quest’artista anche l’autore di molte altre pitture di Sant’Abbondio. Quindi il “Maestro di San Lazzaro” e Pietro di Marino, potrebbero essere la stessa persona. Recentemente sono stati attribuiti a Pietro di Marino anche alcuni dipinti in santa Maria Fossadragone di Monteforte. Confrontando il San Bovo di Monteforte con quello di Motta non si possono aver dubbi sull’identità dell’autore dei due dipinti. La tecnica è piuttosto rozza, interessante invece la caratterizzazione dei personaggi. Dello stesso autore s’intravede, sulla parete a Sud una scena molto rovinata con soldati e un S. Pietro martire. Purtroppo questo lato della chiesa, che in origine doveva essere tutto dipinto, ha assorbito dal terreno all’esterno l’umidità che ha causato il deterioramento dell’intonaco.

Sospese sulla parete di facciata ci sono due statue lignee policrome settecentesche, raffiguranti S. Bonifacio e S. Tommaso d’Aquino. Un’altra statua in legno situata in una nicchia sul lato a Sud, rappresenta S. Abbondio

Attualmente la chiesa è poco utilizzata; la bellezza del luogo e la storia che da questo trasuda, dovrebbe indurre a conoscere ed amare di più questo monumento.

 

 

Work in progress …

XXII° FESTA DI SAN BONIFACIO

5 giugno 2019

8 GIUGNO 2019 alle ore 20.45

Presso la Chiesa di Sant’Abbondio alla Motta

Presentazione del volume:

 

I SAN BONIFACIO

E IL CASTELLO

 

 

copertina 1

 

 

MOSTRA VILLANOVA MONASTERO BENEDETTINO

5 luglio 2017

PRESSO IL CHIOSTRO DELL’ABBAZIA DI VILLANOVA FINO AL 24 SETTEMBRE

E’ VISITABILE LA MOSTRA:

Mostra Villanova 2017 copia

 

 

XX° FESTA DI SAN BONIFACIO

20 maggio 2017

Sabato 3 giugno alle ore 20,45

presso la sala civica “B. Barbarani”

in via Marconi a San Bonifacio

 

XX° FESTA DI SAN BONIFACIO 

 

Sarà presentato il libro:

 

Castelli tra Val d’Alpone e Val d’Illasi

 

di Giulio De Marchi

 

Allegato di posta elettronica